sabato 15 settembre 2012

TULLIO CATALANO


Il ricordo di Tullio Catalano in uno scritto di Anna Maria Fileccia

Testimoni competenti scriveranno sulla storiografìa di Catalano; io farò quello che sono in grado di fare: parlare dell’amico: mi ripeto, l’ho conosciuto alla fine degli anni ‘60 alla Galleria Gap, gestita da mio fratello Gianni Fileccia, di cui parlerò in seguito.
Condividendo grandi tensioni di quegli anni derivanti dalle correnti innovatrici dell’avanguardia artistica, il loro sodalizio era già comin- ciato e stava nascendo quell’amicizia che li legò fino alla fine. Pur frequentando lo stesso rigore artistico, intellettuale e politico, non potevano essere più diversi: Tullio schivo, lento, un po’ sornio- ne e timido nella vita privata, Gianni affrontava tutto all’istante e senza mezzi termini ed un momento dopo era già andato oltre. Tullio per mesi si chiudeva dentro un pensiero, un’idea, dietro ai quali non si poteva andare perché non ne parlava e Gianni aveva come l’impressione che fosse difficile da recuperare.
Questo li fece discutere e non poco. Viveva in una bella e strana villa progettata dal fratello architetto che nel frattempo era venuto a mancare, bella villa ma priva del neces- sario: il frigo era troppo vecchio per funzionare, l’acqua calda e il riscaldamento non c’erano, e durante l’inverno il letto era colmo di coperte e cuscini; il pavimento era ricoperto di libri, disegni, foto e cataloghi. Alle pareti erano appese enormi tele che aspettavano d’essere fini- te, altre lasciate in giardino alle intemperie perché si asciugassero. Si vestiva senza nessuna pretesa perché non poteva permetterse- lo, ma se poteva, sceglieva con cura le cravatte. Non sapeva nuotare ed una volta al lago di Vico, dopo essersi arrampicato sul ramo di un albero che dava sull’acqua, cadde e stava per annegare. Quando a volte capitava che per necessità doveva vendere dei qua- dri, se ne separava malvolentieri e cercava sempre di scegliere a chi dovessero andare. Una volta disse che voleva dipingere un quadro per me e impiegò due anni perché “doveva pensarlo”. Non mi fu difficile diventargli amica e volergli bene, così dopo la sua malattia, gli proposi di passare la convalescenza che i medici dichia- rarono molto delicata, a casa mia. Fu un anno tranquillo, sereno e sotto certi aspetti anche divertente: bisognava stargli dietro con il cibo perché cercava di mangiare sem- pre e di tutto. Di questo si occupava Gianni anche perché era l’uni- co a riuscirci. Era comico e tenero sentirli battibeccare su ogni cosa: leggevano il giornale e non erano d’accordo sull’interpretazione delle notizie. Gianni gli tagliava la barba ed i capelli e litigavano sulla lunghezza, riuscirono a litigare perfino a Natale sulle ipotesi riguardo al conte- nuto dei pacchi sotto l’albero! Quando il tempo era bello passava ore intere in giardino, passeggia- va accarezzando gli alberi. Ogni tanto parlava della madre poetessa, del padre anch’esso pitto- re, del fratello, si sentiva che gli mancavano.Parlava anche dei suoi amori, con ironia di alcuni, con dolore di altri, ma sempre pensando al domani, coltivava un amore platonico in Inghilterra ed era sempre alla ricerca di cartoline strane su cui, prima di spedirle disegnava, disegnava, disegnava.
Gli piaceva andare in auto in giro per Roma (non guidava), così la cornice da scegliere, la tela ed i colori da comprare diventavano un pretesto per una passeggiata in città. Quando le forze glielo consentirono ricominciò a dipingere quasi con furia come a recuperare il periodo d’ozio forzato.
Dipingeva dove capitava sul tavolo della cucina in piena notte sul pavimento, sul prato Pur sapendo quanto per lui i colori fossero noci- vi spesso dipingeva con le mani. Un giorno trovai lui e mia figlia Drusilla colle mani affondate nei colori e lui le stava spiegando come proprio perché lo facevano in quel modo lei avrebbe potuto sentire quali linee e colori l’anima le stesse suggerendo, Riccardo, l’altro mio figlio, lo guardava con forse domande mute e Tullio gli parlava come se gli avesse letto nel pensiero.
Per il matrimonio di due amici di Drusilla dipinse con un rosso fuoco tanti cuori che s’intravedevano tra le parole “LOVE”. Ricominciarono gl’impegni, l’insegnamento all’Aquila, ma più il tempo passava più si rendeva conto che la sua salute ormai troppo compromessa, non gli avrebbe consentito una vita decente neanche ritagliandone i contorni, cosi decise per il trapianto.
Il primo avviso per l’intervento non lo raggiunse perché aveva il cel- lulare spento! Il resto lo conosciamo tutti. Ciao Tullio ti voglio bene.
TULLIO CATPParlava anche dei suoi amori, con ironia di alcuni, con dolore di altri, ma sempre pensando al domani, coltivava un amore platonico in Inghilterra ed era sempre alla ricerca di cartoline strane su cui, prima di spedirle disegnava, disegnava, disegnava.
Gli piaceva andare in auto in giro per Roma (non guidava), così la cornice da scegliere, la tela ed i colori da comprare diventavano un pretesto per una passeggiata in città. Quando le forze glielo consentirono ricominciò a dipingere quasi con furia come a recuperare il periodo d’ozio forzato.
Dipingeva dove capitava sul tavolo della cucina in piena notte sul pavimento, sul prato Pur sapendo quanto per lui i colori fossero noci- vi spesso dipingeva con le mani. Un giorno trovai lui e mia figlia Drusilla colle mani affondate nei colori e lui le stava spiegando come proprio perché lo facevano in quel modo lei avrebbe potuto sentire quali linee e colori l’anima le stesse suggerendo, Riccardo, l’altro mio figlio, lo guardava con forse domande mute e Tullio gli parlava come se gli avesse letto nel pensiero.
Per il matrimonio di due amici di Drusilla dipinse con un rosso fuoco tanti cuori che s’intravedevano tra le parole “LOVE”. Ricominciarono gl’impegni, l’insegnamento all’Aquila, ma più il tempo passava più si rendeva conto che la sua salute ormai troppo compromessa, non gli avrebbe consentito una vita decente neanche ritagliandone i contorni, cosi decise per il trapianto.
Il primo avviso per l’intervento non lo raggiunse perché aveva il cel- lulare spento! Il resto lo conosciamo tutti. Ciao Tullio ti voglio bene.Parlava anche dei suoi amori, con ironia di alcuni, con dolore di altri, ma sempre pensando al domani, coltivava un amore platonico in Inghilterra ed era sempre alla ricerca di cartoline strane su cui, prima di spedirle disegnava, disegnava, disegnava.
Gli piaceva andare in auto in giro per Roma (non guidava), così la cornice da scegliere, la tela ed i colori da comprare diventavano un pretesto per una passeggiata in città. Quando le forze glielo consentirono ricominciò a dipingere quasi con furia come a recuperare il periodo d’ozio forzato.
Dipingeva dove capitava sul tavolo della cucina in piena notte sul pavimento, sul prato Pur sapendo quanto per lui i colori fossero noci- vi spesso dipingeva con le mani. Un giorno trovai lui e mia figlia Drusilla colle mani affondate nei colori e lui le stava spiegando come proprio perché lo facevano in quel modo lei avrebbe potuto sentire quali linee e colori l’anima le stesse suggerendo, Riccardo, l’altro mio figlio, lo guardava con forse domande mute e Tullio gli parlava come se gli avesse letto nel pensiero.
Per il matrimonio di due amici di Drusilla dipinse con un rosso fuoco tanti cuori che s’intravedevano tra le parole “LOVE”. Ricominciarono gl’impegni, l’insegnamento all’Aquila, ma più il tempo passava più si rendeva conto che la sua salute ormai troppo compromessa, non gli avrebbe consentito una vita decente neanche ritagliandone i contorni, cosi decise per il trapianto.
Il primo avviso per l’intervento non lo raggiunse perché aveva il cel- lulare spento! Il resto lo conosciamo tutti. Ciao Tullio ti voglio bene.arlava anche dei suoi amori, con ironia di alcuni, con dolore di altri, ma sempre pensando al domani, coltivava un amore platonico in Inghilterra ed era sempre alla ricerca di cartoline strane su cui, prima di spedirle disegnava, disegnava, disegnava.
Gli piaceva andare in auto in giro per Roma (non guidava), così la cornice da scegliere, la tela ed i colori da comprare diventavano un pretesto per una passeggiata in città. Quando le forze glielo consentirono ricominciò a dipingere quasi con furia come a recuperare il periodo d’ozio forzato.
Dipingeva dove capitava sul tavolo della cucina in piena notte sul pavimento, sul prato Pur sapendo quanto per lui i colori fossero noci- vi spesso dipingeva con le mani. Un giorno trovai lui e mia figlia Drusilla colle mani affondate nei colori e lui le stava spiegando come proprio perché lo facevano in quel modo lei avrebbe potuto sentire quali linee e colori l’anima le stesse suggerendo, Riccardo, l’altro mio figlio, lo guardava con forse domande mute e Tullio gli parlava come se gli avesse letto nel pensiero.
Per il matrimonio di due amici di Drusilla dipinse con un rosso fuoco tanti cuori che s’intravedevano tra le parole “LOVE”. Ricominciarono gl’impegni, l’insegnamento all’Aquila, ma più il tempo passava più si rendeva conto che la sua salute ormai troppo compromessa, non gli avrebbe consentito una vita decente neanche ritagliandone i contorni, cosi decise per il trapianto.
Il primo avviso per l’intervento non lo raggiunse perché aveva il cel- lulare spento! Il resto lo conosciamo tutti. Ciao Tullio ti voglio bene.ALANO

Nessun commento:

Posta un commento

Ultime visite:

38394