martedì 18 ottobre 2011

EDVARD MUNCH


MOSTRA DELLA SETTIMANA
17/10/2011 -

Edvard Munch, l’occhio dell’inquietudine

'Notte stellata', un'opera del 1922-24
Notte stellata, un'opera del 1922-24

Un’imponente mostra al Centre Pompidou di Parigi ripercorre
la produzione novecentesca dell’autore dell’Urlo. E si scopre
che fu anche fotografo

FRANCESCO POLI
PARIGI
Naturalmente, quando si va a visitare una mostra importante di Edvard Munch, ci si aspetta di vedere L’urlo, l’icona quintessenziale della solitudine e dell’angoscia dell’uomo moderno, ma questo capolavoro del 1893 è clamorosamente assente al Centre Pompidou. È vero che il quadro, dopo il furto del 2004 e il suo tribolato ritrovamento, è ormai bloccato nel suo museo di Oslo, ma non sono esposte neanche le altre versioni disegnate o in litografia. E credo che si tratti di una scelta voluta dai curatori per non fissare ancora una volta, in modo prevalente e troppo emblematico, l’attenzione sul periodo più celebrato della ricerca dell’artista norvegese, quello degli Anni 90 incentrato su Il fregio della vita, ciclo simbolico dedicato ai temi dell’amore, dell’angoscia e della morte. E in effetti l’intenzione di questa esposizione che presenta circa centoquaranta opere (tra dipinti, disegni, acquerelli, fotografie e anche una scultura e un breve filmato) è quella di sottolineare soprattutto la modernità di Munch, la sua appartenenza a pieno titolo anche alla ricerca più vitale del XX secolo. Il che vuol dire che Munch non deve essere solo considerato come un artista che (relativamente influenzato all’inizio da Van Gogh e Gauguin) si afferma come precursore e maestro dell’espressionismo con connotazioni simboliste specificamente nordiche.

È vero che i caratteri fondamentali della originalissima e drammatica espressività esistenziale della sua pittura si definiscono molto presto, ma è anche vero che, sia pure senza sostanziali soluzioni di continuità stilistica e senza rotture formali d’avanguardia, il suo linguaggio si evolve per decenni in presa diretta con lo spirito del tempo in termini di intensità e di profonda autenticità estetica, fino agli straordinari esiti della sua fase finale. In questo senso, diventa più significativo dell’anno di nascita (1863) quello della sua morte nel 1944, lo stesso della scomparsa di due altri grandi innovatori come Kandinskij e Mondrian. E allora si può comprendere il fascino tragicamente esistenziale (in cui risuona sempre l’eco lontana e ossessiva dell’Urlo) degli ultimi autoritratti, tra cui in particolare Tra il letto e l’orologio a pendolo, dove si vede in una stanza, in mezzo a questi due oggetti, la figura quasi fantasmatica del vecchio artista in piedi. E un dipinto di assoluta evidenza allo stesso tempo realistica e simbolica.

Per evidenziare la dimensione moderna della personalità dell’artista e della sua opera, i curatori Angela Lampe e Clément Chéroux, hanno articolato il percorso espositivo non in ordine cronologico ma per sezioni tematiche piuttosto variate. Le prime due sale mettono in scena un interessante confronto fra le versioni originali di celebri dipinti degli Anni 80/90 (tra cui La fanciulla malata, Pubertà, Le ragazze sul ponte, Il bacio, Vampiro) e alcune delle rielaborazioni successive. Qui si può da un lato vedere l’evoluzione della pittura in termini sempre più fluidamente sintetici e cromaticamente accesi, e dall’altro riflettere sul senso di queste operazioni di reiterazione degli stessi temi sicuramente legate alla necessità di riattualizzare la scintilla delle emozioni creative più profonde, ma anche all’esigenza di soddisfare le richieste di mercato (secondo alcuni non benevoli critici).

In ogni caso la ripresa quasi ossessiva di composizioni precedenti era sicuramente un aspetto peculiare del processo operativo del pittore come dimostra la sala in cui è esposta una mirabile sequenza di variazioni della Donna che piange, del 1907/8. E a questo riguardo possiamo vedere anche una foto di una modella nuda in piedi, scattata dall’artista stesso. Ma questa è la sola foto usata come libero riferimento per un lavoro pittorico. Tutte le altre foto che Munch ha fatto in due distinti periodi della sua vita (dal 1902 al 1910, e dal 1926 al 1932) sono soprattutto autoritratti in primo piano o in mezzo ai suoi quadri, foto dello studio e qualche veduta esterna. Queste immagini, che sono esposte in due salette, sono uno degli aspetti interessanti della mostra. È chiaro che Munch non aveva ambizioni da fotografo, ma era fortemente attratto dalla possibilità di usare la macchina fotografica come un mezzo per conoscere meglio se stesso «dall’esterno», e per fissare la stretta connessione fra sè e la sua opera. Lo stesso vale per l’uso di una piccola cinepresa, di cui rimane un breve e curioso film in cui l’artista riprende se stesso che osserva incuriosito l’obiettivo. Tutto questo ha a che fare con la sua ansia di introspezione che, oltre alla serie notevole di autoritratti, si sviluppa anche in tarda età attraverso affascinanti e inquietanti lavori in cui ormai semi-cieco, cerca di rappresentare la sua stessa visione perturbata, con effetti addirittura astratti.

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