martedì 11 ottobre 2011

MERZ - PENONE


Cosa hanno da dirci
Merz, Penone & C.

L'igloo 'Architettura fondata/sfondata' di Mario Merz
L'igloo Architettura fondata/sfondata di Mario Merz

A Rivoli e Bologna due mostre
aprono la kermesse targata Celant
La prima vive nei confronti,
la seconda muore su se stessa

FRANCESCO POLI
RIVOLI
Sono passati ormai quarantaquattro anni dalla nascita ufficiale dell’Arte povera che incomincia a definirsi come tale con le prime mostre a Genova, Bologna e Amalfi. Ma è Torino, dove non a caso vive la maggior parte degli esponenti, che diventa subito il principale riferimento del gruppo: città all’avanguardia per la tensione del dibattito politico culturale e in particolare per la vitalità della scena artistica, con gallerie (tra cui soprattutto quella di Gian Enzo Sperone) che contribuiscono a creare le condizioni di una straordinaria interazione con le altre tendenze sperimentali emergenti in Europa e negli Stati Uniti. E proprio a Torino nel 1970 (un anno dopo la ormai mitica esposizione «When attitude become form» curata a Berna da Harald Szeemann) che la Galleria Civica d’arte moderna propone la mostra «Arte Povera, Conceptual Art, Land Art», curata da Germano Celant con Lucy Lippard e Aldo Passoni, la prima in Italia a mettere a fuoco a livello museale questa situazione internazionale allargata che si affermerà in modo definitivo nel decennio successivo.

Il Castello di Rivoli, che si inaugura nel 1984 è l’istituzione che legittima in modo decisivo lo sviluppo del sistema dell’arte contemporanea torinese. E quindi oggi, in tempi di brutta crisi economica e culturale, una grande mostra come «Arte Povera International» acquista un senso particolarmente interessante. Se da un lato rappresenta infatti un anello importante della spettacolare catena di eventi espositivi dedicati all’Arte Povera che Celant ha coordinato in ben sette città italiane, dall’altro lato è, dal punto di vista del museo torinese (e della co-curatrice Beatrice Merz) una iniziativa che intende riconfermare, senza nostalgici revival, la propria specifica identità culturale e rilanciare una visione aperta a nuove avventure sempre dello stesso livello.

La mostra, che si snoda attraverso un percorso che coinvolge tutti gli spazi dei due piani storici, ha l’impostazione di una articolata narrazione corale, dove le opere dell’Arte Povera si confrontano, dialogano e si intrecciano con quelle dei maggiori protagonisti dell’Arte processuale, del Minimalismo, dell’Arte concettuale, della Performance art e della Land art. Sono tutti artisti che negli Anni 60 e 70, e anche dopo, si sono trovati in molte occasioni a esporre nelle stesse gallerie e in musei di tutto il mondo.

A segnare la scansione principale della mostra sono le sale personali dedicate a ognuno dei tredici poveristi (Anselmo, Boetti, Calzolari, Fabro, Kounellis, Mario e Marisa Merz, Paolini, Pascali, Pistoletto, Penone, Prini, Zorio), ma loro lavori si trovano anche nelle altre stanze. Molte opere, e installazioni di vari artisti che fanno parte della collezione permanente del museo sono rimaste integrandosi con le altre che provengono da altri musei e da collezioni private. Già dall’inizio è ben chiara la dialettica che ispira la strategia installativa. All’entrata in basso vediamo non lontano dall’aerea scultura Paolo Uccello di Fabro un telone a striscie di Buren, e nella prima sala un «letto » in paglia di ferro di Pascali è accanto a una macchina di Scarpitta e a delle fragili bilancine di Kounellis. Ma poi ritroviamo Pascali con uno spaesato rinoceronte da solo in mezzo a decorazioni barocche, e Kounellis con una vasta installazione di vecchi vestiti e scarpe che occupa tutta una sala del secondo piano. La sala con lavori storici di Zorio come la colonna di eternit e la stella di giavellotti viene dopo quella dove c'è l’installazione con vecchie porte di Rebecca Horn, e prima di quelle di Paolini, dominata da un volante intreccio di bandiere, e di Pistoletto, che ironicamente ripropone i suoi Oggetti in meno come immagini dentro i classici specchi.

Lo spazio decorato da De Maria, già esistente, accoglie una scultura di Marisa Merz, che è anche presente con un altro lavoro raffinato come la stanzetta che lo contiene. Il tema della serialità concettuale fotografica è declinato in varie maniere da lavori di Acconci, Huebler e Mario Merz (con i tavoli d’osteria progressivamente popolati). E sempre Merz trionfa al secondo piano con l’enorme e fantastico igloo Architettura fondata/sfondata. Il rapporto fra arte e natura è magnificamente esemplificato in una sala con un tondo murale di fango di Long, una curva progressione fotografica di Dibbets, un lavoro di land art di Oppenheim sui confini fra Usa e Canada,e degli alberi di Penone. Di quest’ultimo ritroviamo esposta al secondo piano l’affascinante installazione ambientale Respirare l’ombra. A coinvolgere tutto l’ambiente è anche l’installazione luminosa e sonora di Calzolari. Collocati in vari posti lungo tutto il percorso ci sono molti video di artisti come Nauman, Beuys, Smithson, Graham, Serra, Baldessarri, Jonas e anche lo storico film di Schum che esalta la dimensione processuale delle ricerche dell’epoca.

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